TRUCCO & TRUCCO

    I Francesi distinguono fra “truc” e “maquillage”, gli Inglesi fra “trick” e “make-up”           

                 IL TRUCCO NEL BENE E NEL MALE

           Nel vocabolario Italiano invece un unico termine per significati totalmente diversi

               A cura di GRAZIELLA RESTIVO

       Un vecchio aforisma dice “bella vera, appena fuori dall’acqua”. Quale vuol essere il significato di questo ermetico detto?

Provo a fornire un interpretazione quanto mai personale: una persona (molto probabilmente di sesso femminile) mostra la sua reale bellezza al momento che esce da una vasca da bagno o da una doccia o dopo un bagno in  mare, (quest’ultimo con meno garanzie di veridicità in seguito all’introduzione sul mercato dei cosmetici idroresistenti).

Tutto questo preambolo semplicemente per iniziare una riflessione su quel modo di proporsi a se stessi e agli altri attraverso un filtro chiamato “trucco”.

Perché ricorriamo al trucco in maniera così reiterata?

Uso il plurale del verbo per riferirmi sia alle femmine che ai maschietti, non essendo mia intenzione ricorrere alla forse ormai inattuale differenza e, a mio parere, certamente mai esistita distinzione fra sessi, riguardo al trucco, inteso nel senso più ampio della parola, infatti il significato è: artificio diretto al conseguimento di effetti illusori (Devoto Oli) artificio con cui si altera la realtà, per simulare quanto non esiste (Garzanti) raggiro, imbroglio, frode, simulazione, inganno, finzione, sotterfugio, malizia, stratagemma, tranello (Dizionario dei sinonimi e contrari di B. Colonna); quindi riferirla solo all’uso di cosmetici per l’imbellettamento del viso e del corpo, usato dalle signore e signorine e sempre più sovente, da un po’ di tempo a questa parte, anche da signori e signorini, mi sembra un po’ troppo restrittivo e non rispondente alla realtà.

I francesi distinguono fra truc e maquillage, gli inglesi fra trick e make-up, probabilmente hanno avvertito la necessità del distinguere fra la parte “perversa” e quella “quasi necessaria”.

L’idioma italico, appartenendo ad una popolazione che di trucchi  ne ha fatto uno “stile di vita” e quindi, come si suol dire, se ne intende un bel po’, non fa distinzione fra i due significati, furbescamente, ne consegue, che il confine fra un tipo e l’altro di trucco diventa indistinto, inidentificabile, spesso neppure una approfondita indagine, un serio studio, riescono a classificarlo; e così, italianamente,  tutti hanno ragione e nessuno ha torto.

Un  uomo che si trucca, se non è un attore o in particolarissime circostanze, “non sta bene”, un uomo che cura la possanza fisica è “ va bene, però…”,  una donna che si trucca è “normale, però…”, se si trucca in maniera troppo marcata “non sta bene” o addirittura “pare una di quelle”,  un uomo od una donna che si atteggiano a persone colte e/o facoltose senza esserlo, sono dei millantatori, insomma, se non stai dentro agli schemi preordinati, sei un “diverso”, un anormale, quindi, in nome della morale, devi essere, necessariamente, messo sul banco degli imputati e, necessariamente, condannato ad essere esposto al pubblico lubidrio.

          Stranamente però, un facoltoso o un potente, (conditio sine qua non) che senza la necessità del

          trucco, (make-up) ma con il trucco, (trick) calpesta i diritti basilari degli altri, in virtù della

          sua cultura basata sull’arrivismo, la prevaricazione, il falso perbenismo,  con la sua religione,

assolutamente monoteista: l’incommensurabile adorazione per il feticcio/totem/dio denaro,  è             considerato un  “normale”, o peggio ancora ,“ma quale trucco? è sempre stato così, che  ci vuoi fare”.

E’ davvero sempre e indiscutibilmente così?  Il trucco è sempre un imbroglio? Io dico di no.

Come posso giustificare tale affermazione, o meglio, tale negazione?

Suppongo che si ricorra al trucco poichè una parte più o meno grande di noi stessi non viene ritenuta adatta ad essere presentata agli altri, sarebbe più corretto, ma meno delicato, dire che ci piace poco.

Ecco che allora ci si sobbarca gli oneri e le difficoltà di  uno studio approfondito su tonalità di colore e levigatura della pelle, ci si dedica, con grande impegno ad una lotta senza quartiere a peli e peluzzi , punti neri ed eruzioni cutanee.

Ci si imbarca in studi intensivi sulla falcata e il portamento da tenere quando si abbandonano le casalinghe, comodissime, ciabatte e si inforcano quelle scarpe tanto “in”, i cui “designer” hanno dimenticato quale forma ha dato al piede umano, e testardamente continua a dare, loro malgrado, quell’entità così retriva ai dettami della moda che si chiama natura.

Si imbastiscono spasmodiche ricerche su crinoacconciature necessariamente “diverse nella tradizionalità” o “appariscenti nella moderatezza” tradotto nella lingua di tutti i giorni equivale a dire “zuppa? ne voglio poca, ma con molto pane e non asciutta”, beati i calvi! o è una moda anche essere privi di capelli?.

Si affrontano notti in bianco, passate sui vocabolari o davanti alle schermate di “Omnia o Encarta” per poter essere in condizioni, alla bisogna, di inserire nei nostri discorsi parole non di uso squallidamente “plebeo”.

Ebbene si! Devo fare una confessione: preso atto che qualsivoglia maquillage o “appalestramento” o crinoacconciatura o martorizzazione delle estremità inferiori (la spersonalizzata  plebe li appella piedi) o abbigliamento “casual elegante” avrebbero dato alla mia estetica solo risultati di pietoso rabbercio (vocabolo squisitamente toscano della costiera che significa riparazione approssimativa o mal riuscita), per trovare una forma di apparire che piacesse a me medesima e mi illudesse di essere apprezzabile agli altri, sono dovuta scendere al compromesso di accettare di truccarmi da dotto, ho il sospetto che il numero dei miei emuli sia particolarmente grande, ma questo non mi rende gaudente, mi gratifica molto di più il fatto che questo modo di truccarmi, di vendere la mia falsa immagine, ha cominciato a piacermi così tanto, che ho sentito la necessità di avvicinarla il più possibile alla realtà, così  ho cominciato a consultare sempre meno i vocabolari e leggere sempre di più le enciclopedie, ora mi riprometto di passare addirittura anche alla lettura nientemeno che di libri.

Tutto questo sproloquio solo per giustificare che il truccarsi, sia esso basato su un fondo tinta o un fard, su un modo di atteggiarsi o su una presentazione “disassata” del proprio io, se deve servire a rapportarci con  la più grande serenità possibile a questa società così appestata dai trucchi (intendo i trucs francesi e i tricks inglesi) ben venga l’arte di stare un po’ meglio con se stessi.

In fondo il piacersi non può che avere effetti benefici sul nostro io, una persona che si piace quel tanto di più sta quel tanto di più bene con se stessa e di conseguenza quel tanto di più bene con gli altri.

Se la certezza o l’illudersi di essere un po migliori, ci fa essere davvero migliori, non ha importanza se ciò è dovuto ai “colpi di sole sui capelli”, al rigo più o meno pronunciato intorno alle labbra, ai bicipiti o agli addominali particolarmente in evidenza, a quelle mai abbastanza maledette scarpe che con la misura 41 sviluppano la stessa lunghezza di un 45, al sapere inserire in un discorso parole come balipedio o palingenesi; ciò che ha veramente importanza è che il trucco abbia come effetto collaterale lo scatenare dentro di noi la voglia di profondere il massimo impegno affinché il nostro scopo sia di riuscire ad essere il più possibile simili a ciò che ci piacerebbe essere.

Evviva il trucco!