Una
città, la sua storia
A mia
figlia Giulia
che mi
auguro da grande
legga
questo mio studio
ed
erediti da me la mia stessa
passione
per la nostra città.
Bruno
Ferri
Suole dirsi che
Livorno non ha una storia. Niente di più sbagliato, questa città, una storia
l'ha.
Ha radici
antiche, ma il modo in cui nasce e si sviluppa porta alla fusione di storie
diverse. Il villaggio si trasforma in città e porto del Mediterraneo. Il
decollo avviene sotto Cosimo I, che vuole trasformare il villaggio in un punto
di riferimento per la navigazione ed un centro di scambi internazionali.
Potremmo dunque
dire che Livorno è una città inventata, disegnata e programmata.
Forse è per
questo che oggi è tutta da scoprire. Una città che nasce da una “ idea
politica “. Livorno in Toscana fa storia a sé. Per popolarla, nel 1593,
Ferdinando I promulga la legge “ Livornina “, una Costituzione vera e
propria, composta di 44 articoli. La Livornina favorisce l’immigrazione di
mercanti d’ogni nazione. Intorno alla metà del Seicento, Livorno era animata
da un’umanità dalle fogge più varie: levantine, iberiche, nordiche, ma anche
colonie d’italiani, genovesi, veneziani, napoletani. Ecco perché possiamo
dire che questa città ha, non una ma molte storie; la storia di Livorno è
influenzata da usi e costumi delle popolazioni estere che qui s’insediano
quando i Granduchi decidono di farne una “ piazza “ mercantile cosmopolita.
Quest’amalgama di popolazioni tramanda i livornesi d’oggi, discendenti
dunque di un colorito e spesso “ discusso “ insieme di persone venute a
popolare la nostra terra.
Questo lavoro,
dedicato a tutti noi, prende spunto da una ricerca scolastica, ed è divenuto
quasi un libro, che, con vari capitoli, parla della città, del suo sviluppo,
della sua storia, delle sue curiosità, della sua lingua e, per finire, della
sua cucina. Quella cucina livornese, parte integrante della nostra cultura, che
dovrebbe essere oggi riscoperta. Spero di essere riuscito, con questa mia
ricerca, a dimostrare che anche Livorno ha una sua “ storia “, una propria
specificità e che serva, a farla conoscere meglio.
Livorno,
città della Toscana, capoluogo di provincia.
A tre metri sul
livello del mare, con circa 168 mila abitanti situata nella pianura alluvionale
dell’Arno tra i torrenti Ugione e Chioma.
Importante porto
sul Mar Tirreno, è sede dell’Accademia Navale. Nel suo territorio è compresa
l’isola di Gorgona.
Patrona della
città è Santa Giulia, la cui ricorrenza cade il 22 Maggio.
Livorno, il cui
impianto è di tipo moderno, è contenuta in un semicerchio oltre il quale va a
svilupparsi i quartieri periferici.
A nord e a sud,
il semicerchio è chiuso dai confini territoriali posti sulla costa. Qui va a
congiungersi all’altezza di Quercianella (separata dal promontorio del Romito,
a picco sul mare) ed a quella dello Scolmatore rispettivamente con i territori
di Rosignano e con quello di Pisa, salvo un breve tratto di territorio di
Collesalvetti.
L’abitato
all’interno del semicerchio ripete approssimativamente la figurazione
geometrica della città-fortezza buontalentiana, è intersecato da corde viarie
che lo attraversano orizzontalmente e da rettifili verticali.
Una strada segue
l’andamento costiero, l’altro passa a circa un chilometro dalla foce del Rio
Maggiore. Il rettifilo settentrionale va dall’estremità nord del semicerchio
fino al porto mediceo andando ad imbattersi con l’antichissima Via San
Giovanni, tracciata dai Pisani per unire al retroterra la Rocca da loro
costruita sul mare. Il rettifilo centrale, partendo dalla nuova Stazione
ferroviaria, divide l’abitato lasciando a destra la parte sei-settecentesca, e
a sinistra la nuova, costruita nell’Ottocento. Il rettifilo meridionale va a
ritrovare la costa all’altezza della foce del Rio Maggiore in S.Jacopo dalla
parte sud del semicerchio.
Da parte di
terra Livorno confina con il sistema collinare: il Monte Massi nel lembo
meridionale, poi la Valle Benedetta e, a scirocco, il Gabbro. Qui s’incontra
con l’alveo del torrente Chioma insieme con il quale ridiscende fino a
sboccare in mare.
Oltre all’Ugione
ed al Chioma ci sono altri piccoli corsi d’acqua che nascono e rimangono nel
territorio livornese: il Felciaio, che insieme con l’Ardenza ed il Chioma va a
confondere la propria acqua in mare sulla costa a sud della città, il Cigna e
l’Ugione finiscono in mare presso il porto Nuovo, al Marzocco.
S
V I L U P P O U R B A N I S T
I C O
Disegnata secondo uno
schema ideale da Bernardo Buontalenti nel 1576, si pone la prima pietra il 28
Marzo 1577, ad ore 16 e due terzi.
Lo schema
buontalentiano a pianta pentagonale sarà modificato dall’architetto parmense
Claudio Cogorano che, a partire dal 1585 lavorò attorno ai principali edifici
cittadini.
L’epoca
immediatamente successiva è caratterizzata dalle opere dell’architetto
Alessandro Pieroni (1550 - 1607) autore tra l’altro del Duomo (1595).
La figura di
Giovanni Del Fantasia, Governatore nel 1715, primeggiò durante l’età
barocca.
S'ispira invece
alle opere di Pasquale Poccianti (1774 - 1858) il periodo neoclassico.
Sotto la guida
del Poccianti è portato a compimento l’acquedotto di Colognole; lo stesso è
anche autore del Cisternone e del Cisternino.
La città
s'ingrandì nella stessa epoca secondo il Piano Regolatore di Luigi Bettarini.
L’ingrandimento
avviene verso sud, dove era indicata la direttrice sul prossimo incremento
urbano, peraltro già accennata dallo stesso Poccianti con la costruzione del
Ponte Nuovo insieme con l'altra direttrice verso nord-ovest sul tracciato di Via
Garibaldi e Via Palestro. A seguito di queste indicazioni sorgono nuovi
quartieri attorno alle chiese, SS. Pietro e Paolo, nella parte più a ponente
della città, San Benedetto a sud-ovest, Madonna del Soccorso più a levante,
San Giuseppe a nord-ovest; mentre la proiezione indicata da Poccianti in
direzione sud, sud-ovest, oltre a completare gli agglomerati urbani attorno SS.
Pietro e Paolo, permise lo sviluppo di una zona residenziale e destinata anche
ad attrezzature turistiche, abbastanza ricercate per l’epoca, lungo la
passeggiata a mare, l’attuale Viale Italia.
La fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo furono caratterizzati dagli interventi dell’ingegner Angiolo Badaloni, autore d'edifici riecheggianti, in certi casi, il precedente neoclassicismo.
Purtroppo
dobbiamo dire che l’assieme di tutti questi stili, socievolmente armonizzato
tra vecchio e nuovo, raccordati in maniera sapiente dal percorso del Fosso, che
divide la città, è andato notevolmente perduto, durante il dopoguerra e la
difficile opera di ricostruzione, condizionata dalla necessità di ripristinare
prontamente la città per permettere il rientro dei cittadini che erano stati
costretti ad allontanarsi.
Testimonianza più
tangibile è forse il fatto d'aver permesso la costruzione in mezzo alla piazza
principale cittadina, fino allora una delle più belle d’Italia, il Palazzo
Grande, meglio conosciuto come Nobile Interrompimento.
L A C I
T T À M U R A T A
Dal progetto Buontalenti al Settecento
La città voluta dai
Medici a partire dal XVI secolo è, una città pianificata, in parte secondo
indirizzi teorici cinquecenteschi, ma che adatterà e forzerà la propria forma
ad esigenze concrete dettate dall’apparato economico e commerciale che si
afferma nei secoli XVI e XVII. Infatti, la
“ forma urbis “, il pentagono, deciso dal Buontalenti rimarrà a
segnare la fisionomia della città in pratica fino ad oggi; profonde
trasformazioni: la prima e la seconda Venezia e, lo sviluppo dell’apparato
portuale che interverranno a modificare il progetto originario. Sulla forma
derivata da schemi ed elaborazioni svolte intorno al concetto di città ideale,
si verranno a sovrapporre le varianti determinate dalle esigenze dell’attività
produttiva, con la creazione delle due Venezie e l’inedita e funzionale
proposta d’uso di canali scavati intorno alle fortificazioni.
L
A C I T T À D E L L' O T T O C E N T O
L’abolizione delle
servitù militari nell’area circostante le fortificazioni il 15 dicembre 1776,
rompe i confini della città buontalentiana e determina le direttrici del
successivo sviluppo urbano. L’apparato delle fortificazioni è
progressivamente smantellato: lottizzazione del Rivellino di San Marco nel 1802,
apertura della Porta del Casone nel 1828; fino ai grandi interventi di
demolizione delle mura e rettificazione dei Fossi pianificati dal Bettarini nel
1831.Si ripropone l’uso commerciale del Fosso circondario, secondo la matrice
tipologica della lottizzazione delle due Venezia, in un periodo che vede di lì
a poco, con tutte le conseguenti trasformazioni, l’avvento della civiltà
industriale.
Il caposaldo
dell’assetto economico-commerciale, il Porto Franco abolito nel 1866 segue di
pochi anni gli interventi del Bettarini dimostrando come questi non
corrispondessero ad un intervento di pianificazione nel senso d’adeguamento
della forma all’uso ed alle necessità economiche, bensì si risolvessero
quasi unicamente in una operazione estetica sebbene d’alto valore urbanistico
-architettonico.
L
A P R I M A M E T À D
E L N O V E C E N T O
Gli interventi di smantellamento
della città murata si concludono con l’inizio del XX secolo. Si pongono nuovi
problemi per la definizione della forma urbana in funzione di nuove
problematiche economiche, ma anche e soprattutto politiche. Durante il
“ventennio” (1927) si procede all’avvio di studi congiunti per la stesura
di un Piano Regolatore Generale. In realtà il piano non sarà mai deliberato
dall’Amministrazione ed avremo solo l’applicazione d’alcune direttive in
esso espresse. Gli interventi più indicativi di questo periodo sono quelli del
risanamento del centro realizzati attraverso sventramenti in sintonia con le
contemporanee elaborazioni teoriche in materia d’urbanistica ed architettura.
Nel periodo dal 1926 al 1930 si sventra la zona dietro Via Cairoli, nel 1938 e
nel 1940 si affronta il problema del risanamento del centro, il piano rispecchia
l’impostazione retorica del momento.
I
L D O P O G U E R R A
Il Piano Roccatelli
La seconda guerra
mondiale segna una frattura per la storia urbanistica di Livorno: il suo nucleo
originario, il centro, è molto colpito dai bombardamenti e oltre i fossi,
rimangono solo i borghi sette-ottocenteschi a costituire l’unica permanenza
storica dell’antica città. Nel centro saranno distrutti il 33,38 % degli
edifici e gravemente danneggiati il 28,30 %, solo l’8,38 % illesi.
Il Piano di
Ricostruzione redatto dall’Amministrazione Comunale è respinto dal Ministero;
si affida dunque il nuovo incarico a Carlo Roccatelli che provvede in breve
tempo alla elaborazione di un nuovo piano basato sul principio del diradamento
edilizio. Nella relazione del Piano Roccatelli sono in ogni modo espresse
intenzioni precise circa la conservazione dell’antico tessuto del centro che
tuttavia non trovano applicazione nelle norme attuative dello stesso.
Il Piano Detti
Una legge del 1942
impone la redazione del Piano Regolatore Generale; il Municipio tiene conto di
questa normativa dopo l’istituzione dell’Ufficio Urbanistica nel 1946.
Inizialmente sono condotti studi dallo stesso Ufficio con la consulenza di una
Commissione presieduta dall’Architetto Bartoli. Nel 1952 subentra
l’Architetto Detti con cui è oggi identificato il PRG approvato nel 1961.
Nella prima parte della relazione illustrativa dove è svolta l’analisi dello
stato di fatto, la città, questa è divisa in quattro zone, una delle quali è
il centro storico delimitato dai fossi: si tratta della zona maggiormente
colpita dai bombardamenti e pertanto interessata da massicci interventi di ricostruzione che l’hanno
profondamente trasformata. In questo piano non sarà data una valutazione
negativa della ricostruzione, anzi considerata come valido intervento di
risanamento che segue quelli avviati ad inizio secolo; che è accelerato e
soprattutto facilitato dalle distruzioni prodotte dalla guerra. La mentalità di
base della pianificazione urbanistica in quell’epoca è priva di una
sensibilità volta al recupero, al contrario è indirizzata alla edificazione di
palazzi moderni sulle aree occupate dal tessuto antico, del quale è auspicata
la demolizione.
Le origini della città
sono molto incerte, se non misteriose.
Lo scrittore
livornese Gastone Razzaguta nel suo volume “ Livorno nostra “, così
descrive la leggenda di Ercole Labrone.
L
E F A T I C H E
D I E R C O L E
L A B R O N E
“ La palude “
Nel principio era una landa deserta
coperta di paludi piene di miasmi
pestiferi e di febbri, sulla quale
volavano nugoli di zanzare.
“ Il Libeccio “
Il Signore prese un vento del-
l’Africa e lo agitò fortemente su
quelle paludi per purificarne
l’aria. E chiamò quel vento
dalla sua origine: “ Libiecio “.
“
Ercole Labrone “
Il Signore fece operare in quella
terra che si purificava, un uomo forte
che aveva nome Ercole soprannominato
“ Labrone “, di labbro grosso.
“ Clava e zappa “
Il Signore diede a Ercole Labrone
una clava perché si difendesse.
E una zappa perché scavasse canali
che prosciugassero quelle paludi.
“
I canali “
Il Signore si compiacque delle fatiche
di Ercole Labrone per cento anni.
E in quel tempo Ercole scavò canali
che dal mare tornavano al mare,
comunicando fra loro. E la terra
si rassodava. E cominciava a dar frutti.
“
Gli aiuti “
Il Signore accolse la preghiera
di Ercole Labrone che era solo e stanco
del gran travagliare. E li mandò
aiuti. Il primo giorno arrivò un omino
detto “ Cicala “. Il secondo giorno arrivò
un omicciòlo detto “ Gallinella “. Il terzo
giorno arrivò un omiciàttolo detto “ Gattuccio “.
Il quarto giorno arrivò un omaccio
detto “ Polpo “. Il quinto giorno
arrivò
un omaccino detto “ Grongo “. Il sesto
giorno arrivò un omaccione detto
“ Scorpano “. E tutti confessarono in
differenti favelle che erano rapati
perché scappati dalla galera. Ma
il Signore li aveva mandati.
Il settimo giorno Ercole Labrone pregò
il Signore di non mandargli più
gli aiuti. E che facesse guardar
meglio le galere del mondo.
“
Il tempio “
Il Signore esaudì Ercole Labrone.
E questi colla clava obbligò i sei
d’aiutarlo come il Signore voleva.
E così lavorarono insieme. Poi stanco
il vecchio Ercole Labrone morì d’anni
centotrentuno. E fu da’ sei seppellito.
E innalzarono un tempio in onore di lui.
“
Labrone “
Il Signore in ricordo di Ercole Labrone
impose a quel luogo il nome di “ Labrone “.
“
Il Castello “
Il Signore fece che i sei si amassero.
E li ordinò di costruire, accanto
alla tomba di Ercole Labrone, un
Castello. E lo fecero quadrato con
torri merlate a’ lati e una porta
nel mezzo, lambita dal mare.
I
L V I L L A G G I O
D I L A B R O N E
“
I Labronici “
Il Signore diede a quelle co-
struzioni il nome di “ Villaggio
di Labrone “. E ’ sei li chiamò
“ labronici “. E così originò il
primo gruppo labronico. Il “ gattuccio “
disse che in Oriente aveva sentito parlare
d’un tempio con sulla porta scritta
a lettere d’oro: “ Conosci te stesso “.
Allora i Labronici pensarono di scrivere
sopra la porta del loro Castello:
“ di Labron son nato “. E ce lo
scrissero con lettere di bronzo.
“
Il Cacciucco “
Il Signore apprezzò l’orgoglio
de’Labronici. E l’ispirò di combi-
nare un “ piatto “ che li ricordasse nel tempo.
E preso un tegamo ci messero dell’olio
di oliva e della salvia e dell’aglio
tritato e del sale. E fecero soffriggere
e rosolare bene. E poi allungarono
con acqua e pomodoro a pezzi. E drogarono
con pepe e molto zenzero. E fecero ritirare
quell’intingolo. E poi presi i polpi e gat-
tucci e gronghi, li tagliarono, e ci aggiun-
sero scorpani e gallinelle e cicale intere.
E tutto buttarono nell’abbondante salsa
tirata. E fecero foco lento perché cuo-
cesse e saporisse bene. E poi affetta-
rono molto pane e l’arrostirono
e lo strusciarono coll’aglio. E
lo messero in un catino. E ci
versarono sopra quella broda col pesce.
E dopo una
preghiera al Signore mangiarono quella zuppa che trovarono sana e forte
com’erano loro. Allora dissero: “ come dall’insieme di questi rozzi pesci
è sortito un buon piatto, così da noi verrà la bella cosa voluta dal Cielo.
Perché sulla terra del nostro Villaggio cogli anni crescerà una gran “
pianta “. Sia questo il nostro “ Piatto della ricordanza “. E lo mangino i
nostri figli e' figli de’nostri figli. E così fino alla consumazione de’
secoli. E ' Labronici si strinsero la destra giurando fedeltà. E chiamarono
quella vivanda piccante “ Cacciucco
“.
I
L C A S T E L L O
D I L I V O R N O
“
I Livornesi “
Il Signore si compiacque di
quelle cose de’ Labronici. E
li mandò delle donne perché
crescessero e moltiplicassero
lestamente. E il Villaggio non
li contenne più. Allora lo
ingrandirono con altre fabbri-
che e lo chiamarono: “ Castello
di Livorno “. E loro si chiamarono
d’allora: “ Livornesi “.“.
Intanto la
terra era rassodata e dava frutti.
E le acque incanalate davano buona
pésca e comodi passaggi.
Il Signore soddisfatto di quelle cose de’ Livornesi
li guardò con occhio benevolo.
Questa è la leggenda d’Ercole Labrone e della
nascita di Livorno così come la narra il Razzaguta.
Non è possibile individuare le origini di Livorno,
risalendo al significato del suo toponimo, anche se non sono mancati i
tentativi.
Il Padre Nicola Magri sostiene che Livorno è
originata da Ligure figlio di Fetonte, approdato ai nostri lidi verso “
l’anno del mondo 2325 “. Da Ligure appunto la nostra città avrebbe preso
nome. Agostino Santelli, Padre agostiniano come il Magri fa risalire la
fondazione da un Tirreno, conduttore dei Lidi dell’Asia Minore intorno “
l’anno del mondo 2656 “. I Lidi avrebbero, secondo Santelli, edificato un
Tempio ad Ercole protettore dei naviganti e un villaggio attorno e che
nominarono Labrone.
Nicolò Tommaseo insieme con altri attribuisce la fondazione ai Liburni
antichi abitatori della Croazia occidentale che si chiamava Liburnia. Come si
vede molti si sono cimentati nello studio e nella ricerca delle origini dei
Livornesi. Avremmo potuto parlarne ancora per molto fino ad arrivare persino a
Cicerone che citerebbe il porto di Labrone o di Pisa in una lettera a suo
fratello Quinto.
S’inizia a parlarne intorno ai secoli XI e XII.
Considerando i ritrovamenti fatti nei pressi dei
monti pisani e la somiglianza con altri effettuati sulla costa ligure si
presuppone che la zona livornese sia stata abitata dai Liguri, conseguentemente
sia caduta sotto i Focesi nel VI secolo A.C. per tornare nuovamente nel III
secolo ai Liguri, rimanendovi fino alla romanizzazione che avviene nel corso del
II secolo A.C.. Non è possibile formarsi una precisa idea della civiltà
esistente in quest’arco di tempo, almeno fino all’apertura della Via Aemilia
Scauri, (109 A.C.) a causa della scarsità delle notizie e della povertà dei
ritrovamenti archeologici. La colonializzazione romana lasciò in ogni modo
tracce evidenti come sembra possa dedursi da alcuni toponimi tuttora in uso:
Ardenza da “ Ardentia “, Salviano da
“ Salvius “, Antignano da “ Antonius “, e da una zona sepolcrale
scoperta nei pressi di Campo ai Lupi collegata, probabilmente a Triturrita, la
città visitata e descritta da Rutilio Namaziano nel 416
d.C.. Altrettanto certo che i Romani avessero
collegato la costa livornese a Pisa e al Portus Pisanus, anche se nessuno è al
momento riuscito a ricostruire il tracciato di quell’antichissima strada,
anche perché vi sono state molte trasformazioni dovute all’incessante
erosione d’acque stagnanti derivate dal mare prosciugato dai depositi
fluviali.
R
I T R O V A M E N T I A R C H
E O L O G I C I
Secondo una
cartografia e relativo elenco stilato dalla Soprintendenza Archeologica della
Toscana sono state individuate 15 aree d’interesse archeologico: S. Stefano ai
Lupi, Cisternino, Vallimbuio, La Cigna, Querciolaia, Limone, Salviano, San
Martino in Collinaia, S. Martino Stillo, Monterotondo, Montenero, Monteburrone,
Antignano, Quercianella, Podere al Gorgo, Gorgona. I reperti archeologici più
importanti sono stati ritrovati a:
- SALVIANO:
frammenti
di un coccio che ha impresso il marchio “Salvius”. E’ dunque probabile che
la località fosse un possedimento della “Gente Salvia”.
- POGGI SOPRA LA
LECCIA:
frammenti
di ceramica protostorica.
- LE PANCHE:
frammenti
di ceramica dell’età del bronzo.
- VILLA DI LIMONE:
frammenti
dell’età del ferro.
- QUERCIANELLA:
oggetti etruschi
e romani.
- CIMITERO COMUNALE
DEI LUPI: (vicino)
tombe con
scheletri messi in una specie di cassa a forma di capanna, costruita con grandi
embrici a forma di capanna, oltre a vari sepolcri liguri del II e III secolo a.
C. Altri reperti portuali trovati nella stessa zona proverebbero che, già in
epoca romana, Pisa utilizzava un porto sulla Gronda dei Lupi, ove il Sinus
Pisanus aveva acque più profonde e riparate dal violento vento di libeccio.
Verso il piano
dell’antica Porto Pisano sono state ritrovate circa duemila monete di rame ed
alcune d’argento d’epoca romana, oltre a frammenti della stessa epoca, con
figure muliebri a bassorilievo e lucerne, vasetti, tazzine, fibule, statuette in
terracotta.
In S. Stefano ai
Lupi sono stati individuati due giacimenti Paleolitici (età della pietra
antica) con raschiatoi su scheggia.
Altri siti:
Colognole con un sepolcreto (monete di Traiano, Adriano e Diocleziano)
Monteburrone, raschiatoi e tracce neolitiche; Montignoso, vicino all’Ardenza
in un cunicolo detto “Buca delle Fate”, ossa lavorate, manufatti di corno o
cervo, pezzi di ceramica, rame e piombo, Suese, oggetti agricoli in bronzo,
rasoi, fibule, Monterotondo, tombe d’origine villanoviana oltre a punteruoli,
cuspidi di freccia, asce e altri strumenti.
I L C A S T E L L O
Verso il 91 Pisani e Longobardi
cooperarono a sistemare la rete viaria. Dal cosiddetto “Trebbio” d’Aldule
(Trebialdule) dipartiva un trivio di strade: la prima sarebbe la via per
Salviano che, dopo Colognole, raggiungeva l’Aemilia Scauri, la seconda la via
Pisana che costeggia l’antico Porto Pisano e la terza, diretta verso ponente,
portava a Liburna, embrione della futura Livorno. Era in questo trivio che
sorgeva una cappella dedicata a Santa Giulia
che, gli uni chiamano di Liburna, gli altri di Porto Pisano. Alcuni
documenti
citano
dapprima un Castello di Labrone e riguarda la chiesa di S. Giulia (891), in
seguito Livorna in un documento datato 904, dell’Archivio Arcivescovile di
Pisa per finire a quello del 1103 in cui si parla di Triturrita:
La prima notizia importante che riguarda
Livorno risale in ogni modo alla battaglia della Meloria il 6 Agosto 1284.
Potremmo dunque affermare che Livorno è una città inventata, disegnata e
programmata.
Forse per questo oggi è tutta da
scoprire.
Livorno nasce da una “idea politica”.
Si origina con una fondazione
con tanto di “posa di prima pietra” che avviene il 28 Marzo 1577.
La Fortezza, era stata acquistata dai
Fiorentini insieme all’ormai morente Porto Pisano, dietro pagamento di ben
centomila fiorini d’oro pagati ai Genovesi nel 1421.
C’è da dire che seguendo l’andamento
dei prezzi applicati durante le varie vendite, la valutazione del Castello fosse
in continuo aumento a dimostrazione dell’accresciuta attenzione nei confronti
dell’abitato, seppur ancora di modeste proporzioni. Nel 1121 quando l’Opera
Primaziale di Pisa la cede al Vescovo di Pisa Attone (Attus) il prezzo era
simbolico: un anello d’oro pari a mille lire lucchesi; Boucicault, governatore
in nome di Carlo V cede la città castellare ai Genovesi per 2600 fiorini
d’oro; i Genovesi abbiamo già visto, la rivenderanno dopo quattordici anni al
prezzo di centomila fiorini d’oro.
Ebbe la consacrazione dei Medici dopo che
i “Villici Livornesi” avevano sostenuto valorosamente l’arrembaggio
dell’imperatore Massimiliano I di Germania, nel 1496.
Il decollo vero e proprio avviene sotto
Cosimo I (1519-1574) che volle trasformare il Villaggio in un punto di
riferimento per la navigazione nel Mediterraneo ed un centro di scambi
internazionali.
Si incaricherà Francesco I con
l’affidamento del progetto a Buontalenti di trasformare Livorno, creando una
nuova città fortificata.
Nel 1590 Livorno conta appena 530
abitanti.
L
A L I V O R N I N A
“
Prima ‘he finisse ‘r seolo Fernando
t’ebbe
‘n’idea di velle propio bone,
fece
la livornina e levò ‘r bando
a
chi si stabiliva qui a Labrone.
La
gente viene qui anco volando,
chi
viense da Siviglia o da Tolone,
chi
viense a piedi anco zoppiando,
quello
che ‘n viense fu ‘n vero coglione.
Viense
l’ebreo a vende le pannine,
viensero
Greci, Turchi e Maroniti
con
le su’mogli more e levantine.
Si
doventò così cosmopoliti
come
Niuorche, e tutte le banchine
furon
l’approdo per la nova city. “
C.
Favilla
Fu determinante l’opera legislativa di Ferdinando I che emanò nel 1593
la Costituzione Livornina o più comunemente “Livornina” allo scopo di
convincere la gente ad abitare in una zona così aspra e malarica.
“
Privilegi concessi ne’X di Giugno 1593 al Porto di
Livorno
a favore de’Mercanti Stranieri “:
Don
Ferdinando Medici per la Dio grazia Duca di
Toscana
III di Fiorenza, e di Siena Duca IV, Sig.re
di
Porto Ferrajo nell’Isola d’Elba, di Castiglione
della
Pescaia, e dell’Isola del Giglio, e Gran Maestro
della
Sacra Religione di S. Stefano.
A
voi tutti Mercanti di qualsivoglia Nazione,
Levantini,
Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci,
Tedeschi,
Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni,
Persiani
et di altri Stati.
Significhiamo
queste nostre Patente Lettere,
qualmente
essendo Noi mossi da degni
rispetti,
e massime dal desiderio, che è
in
Noi per benefizio pubblico di accre-
scere
nell’occasione l’animo a Fore-
stieri
di venire , di frequentar i loro
Traffichi,
e Mercanzie nella nostra
diletta
Città di Pisa, e Porto e
Scalo
di Livorno, con stare ed abitare
con
le vostre Famiglie, ò senza esse,
sperandone
abbia a resultare utile
a
tutta Italia, Nostri Sudditi, e massime
a
Poveri;
Però per le soprad.e et altre Cause, e
ragioni
ci siamo mossi a darvi e concedervi,
siccome
Noi in virtù delle presenti vi diamo, e
concediamo
le grazie, privilegi, plerogative,
immunità,
et esenzioni infrascritte.....
Fanno seguito quaranta articoli della
legge, rivolti fondamentalmente ai mercanti ebrei con i quali si stabiliscono
condizioni economiche vantaggiose a coloro che sono disposti a svolgere le loro
attività economiche a Livorno e Pisa onde incrementare il commercio in tutto il
bacino del Mediterraneo. I privilegi, della durata venticinquennale erano di
carattere sociale, religioso, amministrativo e penale. Ognuno era autorizzato a
portare la propria famiglia e nessuno avrebbe potuto essere accusato da alcun
tribunale per “delitto o maleficio enorme, grave, enormissimo e gravissimo,
commesso fuori degli Stati Nostri per il passato.....”.
Ai nuovi
residenti era “ permesso seguire.....cerimonie, precetti, riti, ordine e
costume di Legge Ebrea, o altre, purché ciascuno ne faccia denunzia al Giudice
da Noi da deputarsi....... “
Tutti avrebbero
potuto studiare e come soleva dirsi, addottorarsi.
Era proibita in
modo molto severo l’usura.
Da tutto questo rimasero esclusi falsari e
coloro che avevano commesso “delitti” contro i loro sovrani.
D’altronde il porto aveva necessità di
artigiani in genere come: calafati, barcaioli, facchini, marinai, legnaioli,
muratori, maestri d’ascia, palombari, braccianti e, fu proprio grazie a questa
legge, che la città poté svilupparsi.
Le porte della città si aprirono a
numerose comunità straniere : Ebrei, Armeni, Greci, Francesi, Inglesi,
Olandesi-Alemanni, Siro-Maroniti, Russi, Musulmani, Valdesi.
A sottolineamento dell’autonomia di cui godevano, le comunità assunsero il nome di “nazioni” contribuendo a fare di Livorno una città cosmopolita.
La popolazione crebbe, il commercio portò
a Livorno ricchezze, agi, salute. Non vi è mai stato un “ghetto”: gli ebrei
abitavano una zona vicino al porto in un’area limitrofa alla Sinagoga, comoda
per lo svolgimento dei loro traffici. Il loro peso politico e demografico incise
più delle altre nazioni tanto da consentire una perfetta integrazione con la
popolazione.
Mercanti greci,
spagnoli, portoghesi, ebrei intraprendono in maniera sempre più crescente i
traffici con i loro paesi di provenienza tanto da far aumentare sempre più gli
introiti cittadini.
Ma l’immunità che garantisce l’assolvimento da ogni conto aperto con la giustizia porta a Livorno individui anche poco raccomandabili che contribuiscono comunque all’accrescimento della città. Nel 1596 è permesso ad un inglese di esercitare l’esercizio di console britannico a Livorno, il provvedimento si dimostrò molto utile perché gli Inglesi ebbero la possibilità grazie ai dettami della “Livornina” di poter frequentare il nostro porto. Il giro delle mura medicee occupava un’area di circa quattro chilometri di perimetro. Circondate da un ampio Fosso comunicante con il mare avevano il centro cittadino compreso tra piazza d’Armi e via Ferdinanda (oggi rispettivamente piazza e via Grande). La porta a Mare si collocava sull’attuale piazza Colonnella, a sud si trovava il Bastione del Mulino a Vento (dove ora si trova Largo Rosselli) che portava, dopo una cortina alberata (scali D’Azeglio) al Bastione S. Cosimo da cui si accedeva, per mezzo di uno sdrucciolo sul davanti della Porta a Pisa (piazza Guerrazzi). Da qui le mura proseguivano fino alla Fortezza Nuova, molto più estesa dell’attuale, ed entravano fino al Porticciolo dei Genovesi. Su questo lato si poneva porta dei Navicelli dalla quale muoveva una nuova cortina fino alla Fortezza Vecchia, da dove procedeva fino a Colonnella. Fra la prima e la seconda darsena, a metà percorso si trovava porta Nuova. Il porto era difeso dal Forte di S. Bernardo (1620), più tardi chiamato di porta Murata da cui partiva una cortina fino al Bastione del Mulino a Vento sul quale era aperta la porta dei Cappuccini da cui usciva la strada che portava al convento per proseguire verso Montenero e Antignano. Il 19 Marzo 1606, con una solenne cerimonia avvenuta nella Cappella della Fortezza Vecchia, si provvede a dare a Livorno il titolo di città. E’ istituito il Capitanato Nuovo per dotarla di un territorio più vasto su cui esercitare giurisdizione amministrativa e si procede alla nomina del primo Gonfaloniere “togato” nella persona di Benedetto Borromei, medico condotto del Porto e della Comunità originario di S. Miniato al Tedesco. Con l’istituzione del Porto Franco nel 1618 Livorno diviene un enorme magazzino di mercanzie e la popolazione aumenta rapidamente tanto da costringere Cosimo II a far progettare a Giovanni Santi due nuovi quartieri nella parte settentrionale. Sorgono dunque la Venezia Nuova costruita interamente in mezzo all’acqua, isolato dal resto della città e il quartiere S. Marco; ambedue sopra l’area ottenuta dall’abbattimento di circa metà Fortezza Nuova. Si costruiscono altrove altre fortificazioni. A levante della Fortezza Nuova sorge il Forte S. Pietro, nuova opera militare collegato ad una linea di mura (alcuni resti ancora visibili in Via del Toro e dei Floridi). A metà lunghezza è eretta la prima porta S. Marco (p.za dei Domenicani) oltre la quale si estendeva un Rivellino il cui muro a scarpa è ancora visibile dalla Via Castelli. Complicati scambi territoriali portano la Toscana ad essere affidata ai Lorena nel 1737 dato che la dinastia dei Medici si estingue dopo un dominio durato circa duecento anni.
I L O R E N A
Il primo asburgico di Toscana fu Francesco III che assume il nome di
Francesco II, lo seguirà Pietro Leopoldo, quindi Ferdinando III e Leopoldo II
fino allo spodestamento. La politica del commercio di deposito compromessa
intanto dal sopravvento della navigazione a vapore è abbandonata. L’economia
di Livorno è indirizzata dai Lorena verso il movimento di importazione ed
esportazione con il retroterra. La città muta profondamente con il permesso
dato da Pietro Leopoldo di costruire sugli spalti. Livorno in pochissimo tempo
perde la fisionomia di una città-fortezza. Un beneficio per tutta la città
avviene con l’immigrazione di capitali ed operatori francesi in fuga a causa
dei primi fremiti rivoluzionari, anche se breve giacché per Livorno arriva il
tempo delle occupazioni militari con il blocco del porto e l’obbligo di
pagamento di somme fortissime agli occupanti. Dal 1833 si pone mano
all’ingrandimento delle mura, incaricati Alessandro Manetti e Carlo Reishemmer.
Le prime mura cominciavano dal Forte di S. Pietro per proseguire fino al Fosso
dei Navicelli dove si apre la Dogana d’Acqua comunicante con il Fosso che
circondava la città. La nuova cinta proseguiva fino all’incrocio tra la via
Solferino e la via Palestro dove si viene a collocare la nuova Porta S. Marco.
Il muro prosegue attraverso i campi sulla via Pisana dove si colloca la Barriera
“Fiorentina” oggi Garibaldi per piegare verso via di Salviano con
l’apertura di Porta S. Leopoldo (attuale p.zza Damiano Chiesa) e poi
proseguire fino a Porta Maremmana (Barriera Roma). Si continua lungo la attuale
via Montebello fino al ponte sopra il Fosso che era stato costruito da
Ferdinando II per unire il Lazzaretto S. Rocco a quello di S. Jacopo (interrato,
oggi al posto dei Lazzaretti troviamo l’Accademia Navale ed il Cantiere
Navale),
dopo il ponte le
mura proseguivano lungo l’attuale via della Bassata fino alla Porta a Mare
(oggi p.zza L. Orlando). La città assume così un aspetto diverso da quello
barocco-rinascimentale. Intanto in mezzo alle varie categorie di popolazione
iniziano a diffondersi teorie liberiste. Livorno è percorsa da un forte fremito
di libertà come il resto del Paese. Iniziano i primi moti per l’Unità
d’Italia, siamo nel 1848; il culmine della difesa della città avviene il 10 e
11 Maggio del 1849, quando i popolani livornesi tentarono opporsi agli invasori
austriaci presso la Porta S. Marco. I testi di storia ricorderanno i moti di
Milano, Brescia, ecc.; differentemente i moti di Livorno sono citati in “Nuova
Gazzetta Renana” da Karl Marx quale esempio fra i democratici di Europa e da
Antonio Gramsci in “Risorgimento Italiano”, quaderno 19. Sono ufficialmente
riconosciuti dal Governo nazionale solo nel 1906, con la concessione di una
medaglia d’oro al gonfalone comunale, “la coscienza democratica e
l’eroismo del popolaccio livornese e dei ciurmatori politici” come Ricasoli
definì i difensori di Porta S. Marco. E’ restaurata la monarchia austriaca
fino al 1859 quando Leopoldo II è costretto, a causa dei moti risorgimentali
legati alla seconda guerra d’indipendenza, ad abbandonare definitivamente la
Toscana. Nel 1860 la Toscana è annessa, attraverso un plebiscito, al Regno di
Sardegna. Livorno partecipa con grande entusiasmo alle imprese garibaldine; i
fratelli Andrea e Jacopo Sgarallino partono dal porto cittadino con quaranta
volontari diretti a Quarto per unirsi ai Mille; successivamente raggiunti da
altri 1200 volontari. La città è riferimento costante
e importante per Giuseppe Garibaldi; basta girare per le strade di Livorno per
verificare, appunto, attraverso tracce e testimonianze, del rapporto che legava
l’eroe dei due mondi ai livornesi. Il popolo vota l’11 e 12 Marzo per
l’unione della Toscana al Regno d’Italia.
L E D O M I N A Z I O N I D E L L A C I T T A’ D I L I V O R N O
1103 -
Repubblica Pisana
1404 -
Dominio francese
1408 -
Repubblica Genovese
1421 -
Repubblica Fiorentina
1530 -
Dinastia Medicea - ALESSANDRO (primo Duca di Firenze)
1536 -
“ “
- COSIMO I (Duca di Firenze e Siena, poi Granduca di Toscana)
1574 -
“ “
- FRANCESCO I (Granduca di Toscana)
1587 -
“ “
- FERDINANDO I (Granduca di Toscana, cardinale)
1608 -
“ “
- COSIMO II (Granduca di Toscana)
1620 -
“ “
- FERDINANDO II (Granduca di Toscana)
1670 -
“ - COSIMO III
(Granduca di Toscana)
1723 -
“ “
- GIANGASTONE (ultimo Granduca mediceo)
1737 -
Dinastia Lorenese (influenza austriaca)
1799 -
Occupazione francese
1801 -
Interregno borbonico
1807 -
Impero di Francia
1814 -
Governo murattiano (febbraio-aprile)
1814 -
Dinastia Lorenese (o austriaca)
I
F O S S I
XVI° SECOLO
Nel XVI° secolo
tra il 1563 e il 1574 è scavato il Canale navigabile dei Navicelli con lo scopo
di collegare Livorno e Pisa ed agevolare i traffici commerciali. L’opera
costituì uno dei primi interventi di risanamento della piana costiera. I lavori
di generale riorganizzazione del sistema difensivo conseguente all’ampliamento
della città progettata dal Buontalenti nel 1577 sono da ricondurre tra la fine
del XVI° ed inizio XVII° secolo. Il fossato esterno alla Fortezza Nuova si
realizza tra il 1590 ed il 1597. Ad inizio 1600 si scava il fosso circondario
intorno ai nuovi bastioni, nello stesso tempo si apre una piccola darsena
prospiciente la piazza d’Arme (attuale p.zza Grande) nota come il
“Porticciolo”. A metà XVII° secolo, insieme alla realizzazione del primo
accrescimento della Venezia, si attrezza con scali e magazzini di servizio ai
traffici commerciali l’ultimo tratto del Canale dei Navicelli (oggi v.le
Caprera, interrato dovrebbe esser riportato alle origini secondo un progetto
dell’attuale Amministrazione Comunale). La stessa cosa è fatta per il canale
che dalla Fortezza Vecchia arriva al Porticciolo (attualmente scali delle
Ancore, scali delle Barchette). Ancora nella prima metà del secolo insieme al
riassetto delle fortificazioni a sud, si realizza il Forte di Porta Murata,
attorno al quale si devia il fosso circondario che si collega ai canali del
Lazzaretto di S. Rocco (1580, attuale area del Cantiere Navale Orlando). Tra il
1628 e il 1715 il Lazzaretto S. Rocco è collegato con il nuovo Lazzaretto di S.
Jacopo (iniziato nel 1643, terminato intorno alla fine del secolo) attraverso un
canale navigabile chiamato “dei Lazzaretti” interrato nel 1888 (borgo S.
Jacopo-via della Bassata). Intorno alla fine del 1600 si riorganizza il fronte
fortificato a nord-città con il Baluardo S. Pietro e Rivellino S. Marco, in
seguito uniti al baluardo grande della Fortezza Nuova. Esternamente al nuovo
fronte difensivo è prolungato il fosso circondario:
XVII°-XVIII° secolo
L’abbattimento di parte della Fortezza Nuova è deciso nel 1696. Sopra gli spazi ricavati dall’abbattimento è costruito il secondo accrescimento della “Venezia”. Si apre un nuovo canale che divide il baluardo rimasto dall’area lottizzata (scali della Fortezza). Il fosso circondario della Fortezza è attrezzato con scali, scalandroni e banchine funzionali all’attività commerciale. Si configura l’organizzazione dello spazio articolata su livelli verticali ed orizzontali con lo sfruttamento di spazi scantinati, ricavati sotto il piano stradale e sotto i palazzi, in prossimità dei canali. All’inizio del ‘700 si interra il “Porticciolo” e il canale che lo collega al fosso Circondario la Fortezza Nuova (via del Porticciolo). L’area ricavata dall’interramento sarà lottizzata (attuale area del Comune nuovo).
XIX° secolo
Tra inizio e metà
‘800 sono occupati progressivamente le aree degli spalti, subito esterne ai
fossati, soprattutto in prossimità della Porta a Pisa (p.zza della Repubblica)
allo scopo di soddisfare la pressante domanda di spazi edificabili. Analogamente
sono lottizzate altre aree del sistema difensivo: Rivellino S. Marco nel 1802,
Bastione del Casone nel 1828 (p.zza Cavour). Nel 1831 si progetta, con Pasquale
Poccianti, l’attuale piazza Mazzini di fronte al Lazzaretto S. Rocco
(trasformato qualche anno dopo in Cantiere granducale e in seguito dato in
concessione alla famiglia Orlando). Sarà Luigi Bettarini a stendere, nel 1844,
il progetto di demolizione dei bastioni e conseguente rettifica con
riorganizzazione del fosso circondario (oggi scali Manzoni, D’Azeglio,
Bettarini e Olandesi). Anche la zona del Lazzaretto S. Rocco è investita da
lavori di rettifica. L’anno 1849 sempre Pasquale Poccianti progetta il ponte
dei Cappuccini allo scopo di collegare le due sponde del fosso in prossimità
delle darsene del Porto. E’ sempre in questi anni che si costruisce una dogana
in prossimità dell’ingresso del Canale dei Navicelli in città (Dogana
d’Acqua); si scava inoltre una vasta darsena con lo scopo di agevolare i
servizi commerciali attraverso la nuova porta sull’acqua (Darsena di Torretta)
in parte interna e in parte esterna alla Dogana d’Acqua. Nella seconda metà
dell’800 si pongono i primi problemi di ordine igienico. Si decide
l’interramento in alcune zone: tra il 1866 e il 1870 si interra la Darsena di
Torretta; nel 1867 si interra il fosso di Torretta e nel 1888 quello dei
Lazzaretti (oggi via della Bassata e borgo S. Jacopo). Alla fine dell’800,
nella zona San Marco-Torretta, divenuta zona industriale si aprono per necessità
di traffico il Canale delle Industrie e quello delle Cateratte.
XX° secolo
Si realizza
l’attuale viale Caprera con l’interramento dell’ultimo tratto del Canale
dei Navicelli dovuto sempre a motivi di risanamento igienico. Siamo nel 1904.
Nel corso degli anni ‘70, ancora una volta per motivi di risanamento igienico
ambientale sono interrati il Canale delle Industrie e quello delle Cateratte. I
lavori iniziano nel 1976 per terminare nel 1983.